1.1.3 Semplicità, domini d'uso, potenza espressiva e forza del contesto

Come si è già accennato, la semplicità di pidgin e creoli è spesso rimandata ad aspetti formali delle lingue di contatto, a partire dall’assenza di tratti morfologici e fonologici complessi. Nella recente letteratura, ampia influenza hanno avuto le affermazioni di McWhorter (2001), studioso che considera la “giovane età” di pidgin e creoli di cui si ha notizia nella storia come il fattore discriminante per una loro semplicità strutturale. Analizzando questa linea teorica, Turchetta (2009, p. 98-99) rileva che:

lo stesso MacWhorter (2001, p. 138) considera “giovani” le grammatiche creole e, nel mettere a confronto le loro strutture grammaticali con quelle delle lingue di sostrato, compie un’inevitabile operazione di verifica di ciò che del materiale linguistico preesistente la nascita del pidgin è stato sottratto. In un esame comparato fra due lingue dove il principio della sottrazione o assenza di un tratto è l’unico applicato, diventa pressoché impossibile raggiungere un livello di parità nella complessità delle due lingue messe a confronto. Le sue argomentazioni si spingono anche oltre le caratteristiche strutturali, dimostrando come a livello sociale, benché lingue materne di ampia diffusione, i creoli non abbiano trovato spazio negli usi sociali formali e pubblici, comprendendo fra i mancati ambiti anche il dominio linguistico dell’educazione. (Turchetta, 2009)

Le implicazioni di natura sociale menzionate da MacWhorter e messe in rilievo da Turchetta ci riconducono alla concezione secondo la quale l’insegnamento della lingua standard permetta il raggiungimento di uno status sociale superiore, come l’ottenimento di un impiego decente e maggiormente retribuito.

Questione, questa, che rientra nelle riflessioni e nella letteratura specialistica sull’ideologia linguistica (e.g. Rampton, 2008; Blommaert, 2006; Siegel, 2006a, 2006b) con cui le lingue creole inevitabilmente si confrontano.

Tale concezione relega le varietà non-standard per lo più in domini d’uso limitati e identificati con le fasce più basse della popolazione, e porta a considerare che una lingua “semplice” non possa rappresentare il medium d’insegnamento o non possa comunque adempiere in maniera soddisfacente a tutti i compiti comunicativi richiesti dalla società. Su questa linea di pensiero, Onjewu e Okpe (2015) hanno condotto uno studio tra gli studenti universitari in Nigeria investigando la loro preferenza a utilizzare il NPE o l’inglese standard in contesti scolastici.

Ne è emerso che la maggior parte degli studenti preferisce utilizzare la varietà non-standard con i compagni, a casa e fuori dall’università perché renderebbe la comunicazione più efficace; solo un 9% degli intervistati ammette di desiderare un utilizzo del NPE durante le ore di insegnamento (Onjewu, Okpe, 2015, pp. 739-740). Ciononostante, gli autori richiamano l’attenzione sul duplice rischio di un cambio di direzione e sull’influenza emergente del pidgin a vari livelli della società, che finirebbe con lo spodestare l’inglese standard dagli attuali domini istituzionali ed accademici. Vedremo nel particolare la distribuzione e gli usi contemporanei del NPE nella società nigeriana più avanti. Occorre qui richiamare il fatto che altri autori, al contrario, vedono l’utilizzo delle varietà non-standard in classe, in particolare durante le classi di lingua e di educazione linguistica, come un asset positivo per il raggiungimento degli obbiettivi educativi più ampi (Yiakoumetti, 2013; Siegel, 2006).

Secondo un’analisi formale, il tipo linguistico creolo sarebbe caratterizzato da tratti non marcati a livello morfologico e sintattico (Turchetta, 2009). Fra di essi ricordiamo: la tendenza a una morfosintassi isolante/agglutinante; la serializzazione verbale; l’uso di marche verbali (generalmente prefisse e comunque non flesse) nel sistema temporale, aspettuale e modale del verbo (Sebba, 1987; Singler, 1990); l’assenza di copula; l’assenza di opposizione tra singolare e plurale dei nomi, morfologicamente marcata da affissi e segnalata invece da morfemi liberi quantificatori; l’assenza di genere grammaticale; la polisemia nei morfemi lessicali; la stretta necessità del contesto testuale per la disambiguazione del significato e della funzione dei morfemi lessicali (Turchetta, 2009).

L’implementazione nelle classi di lingua attraverso l’uso delle varietà non-standard degli apprendenti sarebbe una risorsa da sfruttare per dare inizio a considerazioni di valore metalinguistico, tenuto conto della realtà multilingue delle società di oggi. Ciò non comporta necessariamente una semplificazione eccessiva dell’input da parte degli insegnanti, ma creerebbe le condizioni per discutere della sintassi, delle fasi comunicative, dei domini d’uso, della scelta lessicale e dei contesti comunicativi appropriati per ogni varietà della lingua (Siegel, 2006). Tali ragionamenti e i loro benefici sono stati discussi ampiamente nella letteratura sull’educazione e sull’acquisizione linguistica.

A un livello strutturale, la differenza tra varietà standard e non-standard spesso si verifica nel riconoscimento di tratti in assenza, come abbiamo già visto sopra. Riflessioni sulle possibilità di utilizzo di una lingua potrebbero partire dalla considerazione che ciò che viene ritenuto “semplificato”, o addirittura assente, in realtà venga risemantizzato e agito secondo altre strategie e meccanismi osservabili con uno studio approfondito. Turchetta (2009), a tal proposito, riferisce che la semplificazione per impoverimento comporta una perdita del potere referenziale e culturale di una lingua, dicendo che essa è tipica di un processo di degrado linguistico, come quello che è possibile osservare in una lingua a rischio di estinzione.

Nel paragrafo seguente, vedremo come la genesi di pidgin e creoli sia considerabile non solo un meccanismo estremamente distante dal degrado linguistico, bensì un processo di costruzione capace di espandersi e stabilizzarsi in nuove lingue dalle ampie implicazioni funzionali e di utilizzo. Il potere espressivo di una lingua non si misura sulla semplicità quantitativa (cfr. Mühlhäusler, 1986).

I pidgin stabili sono caratterizzati da regolarità e ottimizzazione di regole e, come osservato anche da Labov (1990) e più di recente da Siegel (2004), l’assenza di morfologia flessiva generalmente non inficia la comunicazione e non sminuisce la sua forza espressiva. L’uso di strategie pragmatiche, il contesto di riferimento, la rilevanza del mezzo lessicale per esprimere funzioni grammaticali sono tipiche caratteristiche di un pidgin stabile, utile ai parlanti per esprimersi in molti contesti d’uso.

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