3.4 Analisi e risultati
Seguendo le indicazioni metodologiche di Heritage (1997), partiremo da una âoverall mapâ dellâevento comunicativo âlezione di italiano L2â, ovvero dalla sua macro-struttura articolata in episodi (che si compongono, a loro volta, di specifiche attivitaĚ), identificabili nelle loro topicalizzazioni tematiche. Queste ultime possono essere indicate come illustrato nello schema che segue:
In totale, lâinterazione, di cui qui solo alcune sequenze sono in esame, eĚ costituita da 1047 turni di parola. Come si puoĚ osservare dalla overall map, gli episodi non risultano egualmente distribuiti a livello quantitativo, infatti il primo consiste in un macro-discorso sulle occasioni e i luoghi per imparare lâitaliano, per fare âpraticaâ. In sostanza, piuĚ del 50% dellâinterazione eĚ concentrato su tale tema proprio poicheĚ quello era lâoggetto della lezione. Allâinterno dellâepisodio principale sono riscontrabili numerosi sotto-episodi, a cui si eĚ scelto di non dare un titolo per lâanalisi qui svolta, anche se a livello tematico emergono, attraverso un confronto con altre registrazioni allâinterno del corpus raccolto, elementi di continuitaĚ che potrebbero rivelarsi interessanti per uno studio piuĚ approfondito sul riconoscimento di possibili pattern anche tematici allâinterno delle interazioni nelle classi di italiano L2 dedicate agli ospiti dellâaccoglienza.
Lâintera lezione in oggetto, estremamente sintetizzata â nella mappa â nei suoi quattro episodi principali, si svolge attraverso discussioni libere e attivitaĚ di role-playing. Inoltre, lungo lâarco della trascrizione, possiamo osservare riflessioni metalingusitiche, contestualizzazioni situazionali della lingua e tentativi di produzione accompagnati dallâinsegnante.
Lâanalisi qui condotta faraĚ riferimento al primo episodio riportato nella overall map, da cui sono stati opportunamente selezionati alcuni estratti, secondo criteri di pertinenza e rilevanza riguardanti lâoggetto della ricerca qui presentata. Infatti, il Nigerian Pidgin English, allâinterno della classe di italiano L2 in esame, emerge in maniera interessante attraverso le produzioni linguistiche di quasi tutti i partecipanti.
Nondimeno, tra le lingue emergenti nellâinterazione (i.e. NPE, inglese, francese, arabo, italiano), appaiono anche altre varietaĚ non-standard, tra cui notiamo una varietaĚ del francese utilizzata dalle studentesse ivoriane e una varietaĚ dellâitaliano che rispecchia le interlingue delle apprendenti, utilizzata â oltre che dalle corsiste â anche dallâinsegnante. CioĚ risulta interessante poicheĚ, grazie alla CA, diventa possibile studiarne gli usi linguistici e i luoghi testuali delle occorrenze, al fine di visualizzare e determinare le dinamiche translinguistiche in atto e le cause alla base di tali fenomeni.
Proponiamo qui un estratto (1), senza analizzarlo, per esemplificare lâoccorrenza di quanto appena illustrato:â¨
Come abbiamo giaĚ accennato, lâobbiettivo della lezione era discutere sulle occasioni a disposizione degli studenti per utilizzare e praticare la lingua italiana, al di fuori della classe di italiano, poicheĚ â come emerge dalle narrazioni delle studentesse â lâesigenza di âfare praticaâ non incontra, purtroppo, un riscontro reale nelle esperienze quotidiane delle corsiste. Tali esperienze, infatti, sono spesso mediate da persone terze (e.g. mediatori ed operatori) e la vita di un ospite dellâaccoglienza (a causa delle regole che ne limitano lâautonomia) non aiuta a raggiungere un grado di immersione nella comunitaĚ L2 sufficiente al fine di consentire agli apprendenti di mettere alla prova le conoscenze linguistiche che vanno acquisendo durante le lezioni formali. Questo eĚ un tema ricorrente lungo lâarco della trascrizione, tanto da emergere esplicitamente in piuĚ occasioni, coinvolgendo, a livello narrativo, sia la dimensione domestica, sia la vita âfuori casaâ.
Rilevante, dal punto di vista motivazionale, eĚ la tendenza, da parte di alcuni dei soggetti richie- denti asilo che frequentano i corsi dedicati allâacquisizione L2, a non investire tempo e risorse per studiare e imparare correttamente una lingua senza avere la garanzia di poter restare nel paese di approdo, in questo caso lâItalia. Ora, per esigenze di trattazione, non esamineremo nel dettaglio il tema della motivazione legato allâacquisizione L2 in simili contesti, anche se meriterebbe lâattenta analisi â peraltro giaĚ dedicatagli â di ricercatori e insegnanti, ma ci limitiamo, qui, a farvi riferimento.
Esaminiamo ora, la sequenza nella sua interezza (v. Appendici), osservandone, da principio, lâinizio in medias res. Come abbiamo giaĚ menzionato, le registrazioni non erano state effettuate per eseguire unâanalisi sistematica delle occorrenze del Nigerian Pidgin English tra le altre lingue emergenti durante la lezione di italiano L2, pertanto riflettono lâinteresse dellâinsegnante (qui nel doppio ruolo di ricercatore-insegnante) nel tenere traccia delle pratiche didattiche allo scopo di collezionare un corpus utile ad una pratica riflessiva personale e, inizialmente, privata. Infatti, i convenevoli di saluto e la presentazione dellâoggetto della lezione alla classe risultano assenti dalla trascrizione in quanto non sono stati registrati, anche se sarebbero stati di indubbio interesse per la presente analisi, poicheĚ vi emergono abitualmente tutte le lingue e le varietaĚ sopracitate, in quello che appare come un rituale multilingue condiviso tra lâinsegnante e le apprendenti.
Lungo il corso di tutta lâinterazione in oggetto, possiamo rilevare numerose occasioni e strategie descritte dai partecipanti per riflettere sulle possibilitaĚ di facile accesso per lâutilizzo della lingua italiana. Lâipotesi di usare lâitaliano in casa appare difficile, se non con le operatrici, poicheĚ le altre inquiline spesso tendono a ridicolizzare i tentativi di chi cerca di parlare italiano presso il centro di accoglienza (v. tt.169-175). Gli esempi piuĚ positivi emergono attraverso la possibilitaĚ di parlare con amici e conoscenti parlanti una lingua diversa dalla propria (v. tt. 82-131), con le operatrici che non parlano inglese o francese (v. tt. 494-509), presso gli uffici (v. tt. 388-396) e presso i supermercati (v. tt. 514-741, 805-877). Chiaramente, la rosa delle possibilitaĚ a disposizione non si limita a questi circoscritti esempi, ma questo eĚ cioĚ che emerge nella sequenza qui analizzata.
Altre tematiche degne di nota sono rappresentate dal confronto tra lâapprendimento dellâarabo e quello dellâitaliano (v. tt. 408-451), oltre alla riflessione sullâimportanza dellâoralitaĚ e della comprensione attiva rispetto allo studio meccanico e senza âcapo neĚ codaâ dei manuali (per giustificare questa considerazione bisogna ricordare il bassissimo o assente livello di scolarizzazione della classe di riferimento; v. tt. 178-208). Inoltre, in particolare per gli ultimi due episodi della macro-sequenza, sono presenti descrizioni dei cambiamenti allâinterno del centro di accoglienza (v. tt. 899-995) e considerazioni interculturali sulle scelte alimentari di alcuni dei partecipanti (v. tt. 996-1046).
La trascrizione si apre con la richiesta di una studentessa (S.), rivolta allâinsegnante, di esprimere un pensiero in inglese. Il permesso di procedere come richiesto viene accordato dalla compagna (G.), senza interventi da parte di I., come possiamo osservare dallâestratto (2):
Introduciamo, grazie allâaiuto dellâestratto (2), il fenomeno del code-switching. Al t.1, S. anticipa la volontaĚ di fare una richiesta attraverso la formula italiana âper favoreâ. A sua volta, I. replica, acconsentendo, in italiano, la formulazione della richiesta (t.2). Evidentemente, S. considera cioĚ che vorrebbe dire come âtroppo complessoâ per esprimersi in italiano e chiede se puoĚ farlo in inglese, utilizzando, appunto, tale lingua (t.3). CioĚ eĚ rilevante percheĚ il cambio di codice eĚ significativo allo scopo di anticipare la difficoltaĚ percepita nel continuare a parlare nella L2. La studentessa, pur sapendo che I. comprende il NPE, sceglie di utilizzare lâinglese, probabilmente per dare piuĚ importanza a cioĚ che sta per dire e per assicurarsi la comprensione dellâascoltatore, anticipando contestualmente â con il mezzo del code-switching â il contenuto referenziale del t.3. Tale turno si compone di due unitaĚ: (i) Iâm sorry let me say it in english e (ii) please first. Al termine della prima unitaĚ di turno, notiamo la sovrapposizione di G. (t.4), pronunciata per accordare alla compagna il permesso di parlare in inglese. La sovrapposizione, in questo caso, non eĚ da interpretare come unâinvasione del turno di parola, in quanto eĚ giustificata dal fatto che la prima unitaĚ del t.3 poteva essere considerata come conclusiva della richiesta.
Il discorso sulla possibilitaĚ di imparare lâitaliano â come abbiamo accennato poco sopra â in maniera graduale, grazie al fatto di vivere in Italia, appare esplicitamente nella continuazione dellâincipit, come possiamo vedere dallâestratto (3).
Notiamo da subito che il ricorso allâinglese di S. puoĚ essere giustificato sulla base del contenuto referenziale dei turni 5 e 7, di evidente difficoltaĚ considerato il suo livello di competenza in italiano, eppure di grande pertinenza verso il tema della lezione, tanto da risultarne unâintroduzione efficace. Al t.6 vediamo unâaltra sovrapposizione (âm::â) di G., coincidente col termine della prima unitaĚ del turno 5, la quale appare qui come un segnale di conferma sul contenuto dellâenunciato di S., ma senza creare una vera e propria interruzione e permettendo alla compagna, quindi, di continuare indisturbata. Infatti, senza problemi, S. prosegue manifestando speranza nei confronti della sua futura comprensione ottimale dellâitaliano e, nella seconda unitaĚ del t.7, riconoscendo il percorso graduale che cioĚ prevede.
Interessante, qui, rilevare lâuso di âmuchâ, in quanto tratto caratteristico del pidgin, allâinterno di una formulazione costruita in un inglese che a questo punto potremmo, volendo, chiamare âquasi- standardâ. In questo caso, piuĚ che code-switching, potremmo riferirci al fenomeno denominato code-mixing.
Code-mixing: ossia l'uso di termini di una lingua in sostituzione di termini non conosciuti di un'altra lingua, frequente in bambini bilingui e persone che stanno apprendendo una lingua.
Il risultato eĚ un enunciato nel quale piuĚ codici si mescolano senza soluzione di continuitaĚ, dando luogo a costruzioni âmisteâ, in cui lâintegrazione di piuĚ codici permette al parlante di esprimersi a suo agio, attingendo alle risorse del repertorio a sua disposizione, quando non conosce la parola ricercata nella lingua in cui sta parlando o â anche e piuĚ semplicemente â quando non gli âviene in menteâ. EĚ un fenomeno comune nelle comunitaĚ multilingui come, ad esempio, la Nigeria (paese dâorigine di S.), dove molte persone non hanno la possibilitaĚ di seguire unâistruzione formale nella lingua standard e quindi la imparano piuttosto in maniera accidentale, il che puoĚ condurre a cristallizzazione del fenomeno (i.e. code-mixing) nella lingua del parlante. Chiaramente, anche il parlante non scolarizzato eĚ consapevole della differenza e delle implicazioni dellâutilizzo della varietaĚ standard rispetto alla non-standard, ma cioĚ non significa necessariamente che sia parimenti competente in entrambe le lingue. Da qui, la giustificazione a riferirsi al fenomeno del code-mixing piuttosto che al code-switching.
Lâenunciato (âbut not + once + graduallyâ), costituente la seconda unitaĚ del t.7, si riferisce al necessario percorso graduale dellâacquisizione dellâitaliano e incontra la conferma di I. nel turno successivo. Subito a seguire, non tarda ad arrivare anche la conferma di G. (t.9) sul contenuto di quanto affermato da S., in sovrapposizione al commento di I. (âpiano pianoâ). Stabilito lâaccordo tra i partecipanti a questa parte di interazione (non tutti i presenti si sono ancora pronunciati sulla validitaĚ delle affermazioni ai tt. 5 e 7), S. riconferma la restituzione presentata da I. nel suo commento (seconda unitaĚ, t.8).
Al turno 11, la parola eĚ presa da I., che ripropone in italiano (âgradualmenteâ) la key-word presentata da S. in inglese, per riportare lâattenzione sul focus linguistico alla base di tutta lâinterazione, dopo il permesso di parlare in inglese accordato a S. dalla compagna. Lâenunciato di I. viene accolto contemporaneamente da R., S. e G. che si sovrappongono nel confermare la ricezione e il riconoscimento della proposta linguistica di I., nonostante fosse un avverbio composto, normalmente considerato appannaggio di studenti piuĚ esperti.
Non potendo qui proseguire, come giaĚ accennato, con lâanalisi approfondita dellâevoluzione del discorso lungo tutta lâinterazione, continueremo proponendo gli estratti selezionati in ordine con il procedere dei turni di parola, ma dovendo ricorrere a qualche âsaltoâ nella sequenza. Ad ogni modo, si rimanda il lettore alle Appendici per osservare la sequenza in dettaglio.
Vediamo ora un estratto (4) significativo per lâimportanza data, dalle studentesse, allâimportanza di praticare la lingua. Questâultimo, non troppo distante dai precedenti, presenta R. nellâatto di introdurre le modalitaĚ necessarie per avvicinarsi alla pratica quotidiana della lingua, in risposta a quanto detto prima da S. e, apparentemente, per riprendere un discorso cominciato in precedenza, purtroppo mancante nella trascrizione; cioĚ emerge nel t.21, in cui I. si riferisce a qualcosa espresso da R. prima dellâinizio della registrazione.
Innanzitutto, possiamo notare la differenza fondamentale tra questo estratto e i precedenti, la quale consiste nel fatto che, qui, il 97% dei termini utilizzati negli enunciati, da parte di tutti i partecipanti, eĚ in italiano. Emergono, infatti, soltanto due parole (t.29 e t.30) non italiane â peraltro contigue, nellâavvicendarsi degli enunciati â di cui una eĚ, in realtaĚ, dâuso comune nella comunitaĚ di parlanti italiani contemporanea (âyesâ), bencheĚ sia un prestito linguistico dallâinglese; lâaltra eĚ una congiunzione proveniente dal francese (âmaisâ), estremamente simile alla congiunzione equivalente italiana per pronuncia e utilizzo. Questo, insieme a quelli che seguono, sono dati rilevanti sullâemersione della competenza interazionale in L2 delle studentesse.
Il tema introdotto da S. nellâelaborazione dei turni precedenti, incontra qui la formulazione di I. (t.21), composta da tre unitaĚ, di cui: la prima (â<giusto giusto>â) eĚ un segnale di conferma sul contenuto referenziale di quanto detto da S. e poi tradotto e riproposto da I.; la seconda eĚ un atto linguistico interessante da osservare in una classe di lingua, poicheĚ I. si pone nel ruolo di moderatore tra le opinioni delle corsiste, riportando lâattenzione su quanto detto da R. precedentemente; la terza unitaĚ svelta il contenuto di cioĚ che R. aveva espresso senza essere registrata neĚ trascritta, cioeĚ che a casa si parla inglese tutti i giorni.
La problematizzazione proposta da R. e reintrodotta da I., sulla scarsa possibilitaĚ di parlare italiano tra le mura domestiche, trova qui la sua prima conferma da parte di G. (t.22), che giaĚ dal turno 4 si era posta nel ruolo di âascoltatrice-confermatriceâ e qui, contestualmente, riafferma tale compito auto-assegnato. A seguire, I. (t.23) divide la responsabilitaĚ di non parlare italiano in casa tra le comunitaĚ linguistiche presenti (i.e. âfrancesiâ e âinglesiâ) attraverso lâesemplificazione di chi parla quale lingua con gli altri membri della rispettiva comunitaĚ linguistica di appartenenza.
Nelle narrazioni degli studenti, in particolare quelli provenienti dai paesi dellâAfrica occidentale, la divisione tra le comunitaĚ linguistiche appare spesso semplificata in âfranceseâ e âingleseâ. Il riferimento alla lingua ufficiale delle regioni geopolitiche dâorigine, anche se utilizzata nelle sue varietaĚ non-standard, quando costretti a vivere insieme, diventa un tratto identitario-culturale significativo per gli individui e per la costruzione dei relativi gruppi filo-linguistici, nonostante le grandi differenze e peculiaritaĚ riscontrabili su base etnica e linguistica nei rispettivi paesi.
La percezione dellâappartenenza ad una comunitaĚ linguistica subisce lâinfluenza del contesto in cui si vive. EĚ possibile osservare che, allâinterno dei centri di accoglienza in Italia (in particolare quelli piuĚ numerosi), le differenze etniche assumano un ruolo secondario davanti alla macro-differenza percepita tra âafricaniâ ed âeuropeiâ; probabilmente, cioĚ eĚ dato anche dalla consapevolezza che gli italiani non conoscono e non âpossono capireâ le sfumature piuĚ complesse della diversitaĚ interna alle comunitaĚ africane.
CioĚ eĚ confermato da un commento espresso da R. nel t.24, la quale afferma che le conseguenze di quanto proposto da I. non siano positive.
Ai turni 25 e 26 osserviamo un âbotta e rispostaâ tra I. e R.; in primo luogo, lâinsegnante richiede una conferma di comprensione da parte del gruppo classe (prima unitaĚ, t.25) e, a seguire, rileviamo una ristrutturazione in italiano del commento appena espresso da R. (seconda unitaĚ, t.25), che, a sua volta, ripete lâenunciato precedente senza adottare la ristrutturazione proposta da I.
Successivamente, I. cerca di proporre una soluzione al problema sollevato â senza terminare il suo enunciato â introducendo la possibilitaĚ attraverso la formulazione âse tuttiâ, ripetuta anche nel frammento su cui si innesta R., sovrapponendosi e impossessandosi del turno di parola. Il concetto viene espresso pertinentemente da R. nel t.28 secondo una formulazione che, pur non essendo corretta in italiano, risulta estremamente efficace, considerazione possibile grazie alla conferma di S. nel turno 29. Interessante notare, qui, lâutilizzo del raddoppia-mento (âpoco poco, piano pianoâ), come struttura parallela alle soluzioni di grammaticalizzazione e risemantizzazione del pidgin (cfr. Cap. 1), emergente, in questo caso, come strategia produttiva in L2.
Infine, nei turni 30, 31 e 32 osserviamo uno scambio di enunciati tra R. e I., il cui completamento eĚ affidato ad entrambi i partecipanti, che co-costruiscono il senso di quanto R. comincia ad esprimere nel t.30. Notiamo la sovrapposizione di I. durante il turno di parola di R., probabilmente da poter interpretare come un accompagnamento allâesposizione in italiano, visto il tono basso della voce, e non a un tentativo di riottenere il turno di parola.
Lâinterazione prosegue e si individuano alcune esemplificazioni degli usi linguistici dellâitaliano e delle altre lingue veicolari allâinterno del centro di accoglienza, fino alla narrazione da parte di S. delle conversazioni in italiano che tiene regolarmente con un suo amico, âfuori casaâ.
Nel prossimo estratto (5), rileviamo lâemergere di alcune lingue afferenti ai repertori delle studentesse (i.e. lâarabo) durante la ricerca della traduzione italiana di un termine necessario al proseguimento, nella L2 target, della narrazione di S. (i.e. âteachâ, cfr. t.102).
Nel t.102 osserviamo la richiesta di traduzione in italiano che I. rivolge a S., interrompendo lâenunciato per prevenire lâinnesto (ormai esperito numerose volte, senza autorizzazione concessa) di R. e per terminarlo nella terza unitaĚ del turno. Lâespressione âhe teach meâ, senza lâausilio della desinenza â-esâ che in inglese standard indica la terza persona singolare, eĚ un tratto caratteristico del NPE, qui utilizzato dallâinsegnante per richiedere formalmente una traduzione da una struttura nota nella L1 della studentessa. Ascoltando la registrazione, si rileva anche lâintonazione e la pronuncia classica del NPE, utilizzata dallâinsegnante con lo scopo di creare un grado di familiaritaĚ e riconoscibilitaĚ maggiore dellâespressione in pidgin.
S. accoglie il compito affidatole da I. (t.103) e comincia a fare ipotesi sui termini da utilizzare, partendo dal pronome personale di terza persona, ma proponendo quello di seconda persona in italiano (âti! tu!â). Interessante notare lâauto-correzione fonetica da âtiâ a âtuâ durante i tentativi di produzione di S.. Al fine di consentire a S. un completamento autonomo del task proposto, I. si limita a correggere la preposizione, lasciando lo spazio per continuare con i tentativi (t.104).
Infatti, (t.105) S. continua a costruire lâenunciato in italiano, questa volta utilizzando un verbo semanticamente generico (âparliaâ), ma pertinente nel campo referenziale indicato. La prosodia di S. nel pronunciare tale tentativo viene interpretata da G. come insicurezza e nel t.106 propone lei stessa una soluzione, ispirandosi alla scelta lessicale operata da S., il risultato non risulta soddisfacente a questâultima, tanto da esprimere una richiesta di aiuto â rivolta probabilmente a I. â nel t.107.
Probabilmente per analogia semantica con la scelta lessicale operata da S. nel t.105, G. cerca ancora una volta di portare il suo contributo, proponendo una traduzione del termine dallâarabo
imparato in Libia (i.e. âkellemâ, in ar. ŮŮŮ âparlareâ, v. t.108). Lâemersione del termine arabo sorprende lâinsegnante, che â essendo competente nella varietaĚ nordafricana della lingua â rivolge a G. una domanda riguardo lâopportunitaĚ del termine nel contesto.
La reazione della classe a questa âintrusione linguisticaâ eĚ accolta con una risata (t. 110-112), a cui I. risponde con un sospiro, sottolineando â non verbalmente â la sua volontaĚ di continuare lâinterazione in italiano. EĚ affascinante notare la risposta di G. (tt. 113, 115) alla reazione rivolta al suo ultimo enunciato, la quale emerge con lâutilizzo di unâespressione tipicamente italiana e altamente pertinente con il contesto conversazionale in atto. Alla fine, I. decide di concedere la traduzione (t. 117), che viene istantaneamente riconosciuta dalla classe e confermata nel turno 118.
Come abbiamo giaĚ accennato, le occasioni per parlare italiano in casa non sono tante e cioĚ risulta di fondamentalmente importanza quando si considerano le regole di convivenza allâinterno del centro, le quali prevedono alcune limitazioni al tempo consentito per stare fuori ed entrare in contatto col territorio in maniera autonoma. In caso, se un ospite volesse perseguire individualmente lâesplorazione del territorio e il proprio progetto di integrazione nella societaĚ italiana, sarebbe necessario un grado di efficacia e di gestione del tempo âliberoâ sensibilmente elevato. Alle volte, cioĚ eĚ percepito con una certa difficoltaĚ e quindi il tempo concesso allâinterno del centro di accoglienza risulta quantitativamente significativo.
Lâinsegnante, lungo il corso del dialogo (qui trascritto), propone alla classe di impegnarsi quotidianamente in casa per sensibilizzare le coinquiline verso lâadozione dellâitaliano come lingua franca per le loro interazioni, anche al fine di eliminare le distinzioni tra le comunitaĚ linguistiche sopracitate e ridurre la distanza sociale tra tali gruppi, con lâausilio dellâimpegno condiviso verso un obbiettivo comune (i.e. lâacquisizione efficace dellâitaliano come L2).
Negli estratti seguenti (6, 7) osserveremo, senza entrare troppo nel dettaglio analitico, come la narrazione della difficoltaĚ di parlare italiano in casa verta, principalmente, sul timore della conseguente ridicolizzazione abituale dei tentativi di chi cerca di praticare la L2 presso il centro di accoglienza. Tali estratti sono stati selezionati per presentare uno spaccato degli usi e delle ideologie linguistiche in atto allâinterno di simili strutture abitative e, contestualmente, di come il NPE sia utilizzato per determinati scopi appartenenti allâinterazione in classe.
Un lettore non specialista potrebbe chiedersi se questo estratto provenga, effettivamente, da una lezione di italiano. EĚ infatti possibile notare da subito una larga presenza dellâinglese, il quale costituisce circa il 93% dellâinterazione, con la presenza del NPE al 4% e per ultimo lâitaliano, che emerge solo per il 3% sul totale dei termini utilizzati. Potremmo dire che la distribuzione delle lingue occorrenti, qui, eĚ quasi speculare rispetto a quella riscontrata nellâestratto (4), dove lâitaliano raggiungeva il 97% delle occorrenze.
Vista la natura emotiva del discorso, valutabile in particolare attraverso lâosservazione della prosodia al t.169, lâinsegnante ha scelto di rispondere in inglese per permettere unâelaborazione del concetto attraverso un codice familiare alla studentessa coinvolta. Possiamo rilevare, quindi, la natura solidale della scelta linguistica di I., seppure, naturalmente, non la si possa considerare valida per tutte le studentesse presenti, dal momento che N. e R. non sono competenti in inglese (infatti non partecipano nel presente estratto, se non come uditrici). Inoltre, notiamo, al termine del t.174, che I. ricorre allâuso della particella interrogativa caratteristica del NPE (âabiâ), scelta interpretabile come ricerca di un consenso riguardo il contenuto referenziale di quanto appena enunciato.
Nonostante la natura solidale delle scelte linguistiche operate da I., la necessitaĚ di dimostrare i vantaggi dellâutilizzo dellâitaliano come lingua franca esigeva, successivamente, un cambio di codice; cosiĚ da permettere alle altre partecipanti di comprendere il contenuto del discorso. Tale esigenza eĚ soddisfatta nellâestratto che segue (7).
Sempre da un punto di vista quantitativo, osserviamo che la distribuzione delle lingue sul totale delle occorrenze, in questo estratto, eĚ ristabilita a vantaggio dellâitaliano (84%); mentre il NPE emerge per il 16% dellâinterazione. Interessante rilevare lâassenza totale dellâinglese e la rinnovata partecipazione di N. e R. al discorso.
Dal punto di vista interazionale, lungo lâarco dellâestratto notiamo che i turni di parola di I. sono intervallati semplicemente da commenti delle studentesse, a conferma di quanto espresso. La parola, quindi, eĚ stata riconsegnata a I. che, per un arco di tempo limitato, restituisce a tutta classe, interamente in italiano, quanto espresso da S. e G., in inglese. I segnali di conferma (tt. 210, 212, 213, 215, 219) indicano che il discorso eĚ compreso e condiviso dalla classe.
Per quanto riguarda lâemersione del NPE, in questo contesto possiamo rilevare il suo utilizzo esclusivamente da parte di G., la quale traduce in pidgin â consecutivamente e correttamente â gli enunciati di I. (tt. 216, 223). In un caso, precisamente al t.221, osserviamo che G. si sovrappone a I., quasi prevedendo il contenuto dellâenunciato, come per completarlo. Il risultato eĚ una so- vrapposizione dei termini âbenissimoâ e âfast fastâ, i quali erano egualmente possibili date le premesse dellâenunciato di I. al turno 220. Infatti, I., prima di pronunciare il suo commento, schiocca le dita tre volte. Tale gesto poteva essere interpretato in maniera ambigua, sia come âvelocementeâ (i.e. âfast fastâ), che come âmolto beneâ (âbenissimoâ). Lâinterpretazione dei gesti eĚ culturalmente specifica e dipende spesso anche dal contesto di occorrenza. Possiamo dire che, qui, G. non ha sbagliato a interpretare ma ha espresso unâipotesi, tra lâaltro in NPE, sul contenuto referenziale del gesto di I.
Il prossimo estratto che presentiamo (8) eĚ lâultimo di cui conduciamo lâanalisi in questa sede. A causa della sua lunghezza, rispetto agli estratti presentati finora, procederemo velocemente e ci limiteremo a sottolinearne gli aspetti essenziali ai fini della trattazione qui esposta. Le motivazioni alla base della selezione di questo estratto stanno nellâinteressante livello metalinguistico che lo distingue dal resto della trascrizione e nella straordinaria testimonianza sui meccanismi di acquisizione linguistica incidentale dellâarabo, in confronto a quelli che caratterizzano lâacquisizione dellâitaliano, esperiti da alcune partecipanti durante il loro soggiorno in Libia.
Un elemento che desideriamo anticipare, al fine di aiutare la lettura della sequenza, eĚ lâoccorrenza dellâuso del NPE da parte delle partecipanti, in preminenza G., ma anche S. e âsorprendentementeâ R.. Come abbiamo potuto osservare negli estratti precedenti, la limitatezza dellâuso dellâitaliano in casa eĚ significativa. CioĚ, probabilmente, crea un vuoto o, se vogliamo, un luogo comunicativo da riempire con una lingua franca che permetta comunque lâinterazione tra le ospiti del centro di accoglienza. Non eĚ raro, in simili contesti, riscontrare che tale mancanza eĚ sopperita dal Nigerian Pidgin English, sicuramente dato il grande numero di nigeriani parlanti NPE presso le strutture di accoglienza, ma probabilmente data anche la facilitaĚ di apprendere tale codice, meccanismo che possiamo descrivere richiamando alla memoria le parole di Ugo Foscolo (cfr. Cap. 1, p. 15).
La sequenza si apre con una domanda, in NPE, rivolta da G. a I., sulle motivazioni che la portano a mescolare lâarabo con lâitaliano, quando cerca di esprimersi in lingua, in Italia. EĚ importante sottolineare come lâenunciato presenti la particella perfettiva âdonâ caratteristica del pidgin (cfr. Cap. 1). Tale morfema, largamente utilizzato nelle produzioni in NPE, eĚ uno dei tratti piuĚ ambigui da interpretare per chi non sia pratico con questa varietaĚ non-standard dellâinglese. Infatti, rassomiglia foneticamente alla negazione donât in inglese standard.
In NPE la negazione eĚ espressa con il morfema no e non risultano occorrenze dellâuso di donât o della sua declinazione doesnât (cfr. Cap. 1). Lâorigine del perfettivo don eĚ da ricercare nel participio passato del verbo to do (âfareâ), done â foneticamente vicino al morfema utilizzato in NPE â qui ri- grammaticalizzato e posto prima del verbo con la funzione di trasformare il tempo verbale al passato. Questo eĚ, probabilmente, un elemento alla base di numerosi misunderstanding che avvengono durante la comunicazione tra un italiano e un parlante pidgin. Simili incomprensioni possono risultare in conseguenze di piccole o grandi dimensioni, a seconda del contesto di riferimento e delle funzioni della comunicazione stessa.
Alla base della non intelligibilitaĚ del perfettivo don sta probabilmente anche lâideologia linguistica legata alla pronuncia tipica del parlante pidgin, la quale viene spesso interpretata come caratteristica di folklore e non piuttosto come portatrice di significato, da cui la convinzione che la mancanza del suono /nât/ sia da imputare alla maniera di pronunciare nigeriana. Immaginando il range delle possibilitaĚ di misunderstanding derivanti da tali convinzioni, possiamo figurarci numerose situazioni in cui cioĚ possa accadere, passando dalla classe di italiano, allâufficio postale, alla questura, fino al tribunale, etc.
Nellâestratto in analisi, vediamo esplicitamente come tale meccanismo possa agire anche in un soggetto parzialmente competente come I.. Infatti, al t.409, osserviamo come il primo tentativo di riformulazione da parte I. sia errato e riscontriamo la conseguente confusione di G. al turno 410.
Al turno 411, I. produce una seconda formulazione che si rivela corretta con la conferma di G. (t. 412). Interessante vedere anche come nella prima formulazione di I. fosse presente lâarticolo determinativo lâ e nella seconda questo risulti, invece, assente. CioĚ potrebbe essere interpretato come un tentativo da parte di I. di âaccomodareâ lâitaliano alla struttura del pidgin, per assicurarsi di non inserire elementi che non vengano compresi e garantire uno svolgimento fluido della mediazione di significato qui in atto.
Successivamente, nel turno 414, R. interviene nel discorso illustrando come in effetti le lingue si assomiglino e porta lâesempio dellâitaliano e dello spagnolo come lingue simili. Lâelemento interessante, qui, eĚ il ricorso di R. alla formula NPE âsame-sameâ, soprattutto visto che R. proviene dalla CoĚte dâIvoire e dichiari di non parlare inglese. EĚ evidente quindi, come si era accennato, unâacquisizione incidentale di elementi del pidgin da parte di R., probabilmente da individuare allâinterno della casa. Lâemersione di questo repertorio di riferimento non eĚ casuale, infatti occorre in occasione di un confronto tra R. e S., di cui lâultima eĚ indubbiamente quella che piuĚ di ogni altra (in questa classe) faccia ricorso al NPE.
Lâaffermazione che lâitaliano e lo spagnolo siano equivalenti non incontra il consenso di G., la quale precisa il fatto che solo alcune parole siano effettivamente simili tra lâitaliano e lâarabo (t.415, 417), ottenendo una conferma da parte di I. (lâinsegnante, qui, eĚ competente in arabo ed eĚ consapevole della sua somiglianza con lâitaliano per quanto riguarda alcuni termini).
Successivamente (tt. 419-443) osserviamo lâaccompagnamento di G. â da parte di I. â allâenunciazione di tale concetto in italiano. Infine, verso il termine dellâestratto (tt. 444-457), possiamo seguire la conversazione tra G., S. e I., sulle dinamiche dellâacquisizione dellâarabo esperite da entrambe le studentesse, probabilmente in Libia. Sia G. che S. affermano che lâarabo non presenti grandi difficoltaĚ ad essere acquisito, nonostante â allâepoca â non abbiano seguito nessun corso formale (tt. 447-453). Le motivazioni alla base di cioĚ risiedono nella possibilitaĚ di stare liberamente nel paese e di immergersi profondamente negli usi reali della lingua veicolare. Al turno 455, G. afferma di avere, in effetti, imparato a parlare grazie allâeventualitaĚ di poter interagire con le persone, le quali le avrebbero insegnato la lingua. In risposta a queste dichiarazioni, I. propone di adottare lo stesso approccio allâacquisizione e alla pratica della lingua italiana.
In conclusione, analizzando lâoccorrenza degli enunciati in NPE, in questo estratto, notiamo che emergono in corrispondenza delle riflessioni metalinguistiche sullâapprendimento dellâarabo e sulla descrizione generale del livello di difficoltaĚ che questo comporta. Lâaccettazione da parte dellâinsegnante di tali produzioni e la sua comprensione del tema dellâacquisizione della lingua araba si sono rivelate fondamentali allo sviluppo condiviso della riflessione sul tema.
Last updated