2.1.4 La pidginizzazione come strategia propria dell’acquisizione linguistica

Le caratteristiche formali dell’interlingua sono state presentate in seguito a uno degli studi più massicci mai compiuti sull’acquisizione naturale di una lingua seconda da parte di adulti, svolto grazie all’aiuto dell’European Science Foundation (ESF) e condotto durante gli anni ’80 (Siegel, 2009). Più dettagliatamente, questo fu uno studio longitudinale in cui si presero in esame le varietà dell’apprendimento in 40 adulti immigrati con più L1 di riferimento: arabo, italiano, finlandese, spagnolo, turco. Le lingue target erano olandese, inglese, francese, tedesco e svedese (Siegel, 2009, p. 194). In un articolo dedicato ai risultati dello studio, Klein e Perdue (1997) osservano che praticamente un terzo degli apprendenti riuscì ad acquisire solo quella che loro chiamano una “varietà base”, caratterizzata da numerose caratteristiche strutturali che possiamo ritenere semplificate perché sono ridotte, regolarizzate, o più semanticamente trasparenti rispetto alla lingua target (Siegel, 2009, p. 195). In queste “varietà base” la regola si può leggere perlopiù in assenza, similmente ai pidgin, come possiamo osservare nella seguente rappresentazione:

  1. assenza di flessione;

  2. termini lessicali occorrenti in forme invariate (multifunzionalità);

  3. infinitivi o nominativi sono generalmente forme inviariate (anche se si sono riscontrate alcune forme flesse);

  4. termini lessicali simili a sostantivi e verbi, con alcuni aggettivi e avverbi.

  5. la maggior parte del lessico proveniente dalla L2, ma alcuni termini originari della L1 e/o provenienti da altre lingue;

  6. presenza minima di pronomi, sostanzialmente per il referente, il ricevente e una terza persona;

  7. assenza di pronomi anaforici per riferirsi ad oggetti inanimati;

  8. scarsa presenza di quantificatori;

  9. una parola singola per la negazione;

  10. solo qualche preposizione;

  11. assenza di complementizzatori;

  12. assenza di elementi espletivi (e.g. there is, ‘c’è/ci sono’);

  13. uso di avverbi di tempo, al posto di marche TMA grammaticali, per indicare la temporalità;

  14. specificazione di relazioni temporali: BEFORE, AFTER, SIMULTANEOUS, etc;

  15. “marche di confine” per esprimere l’inizio o la fine di una certa situazione, come per work finish ‘dopo il lavoro è/era/è stato/sarà finito’

In sostanza, alla luce degli studi illustrati, la pidginizzazione pare non creare semplicemente una varietà semplificata della lingua di sostrato, bensì appare come una strategia per assicurarne l’acquisizione, in base a determinate esigenze funzionali. Tale principio, sfruttando le conoscenze della linguistica acquisizionale, (e.g. transfer positivo/negativo) potrebbe portare parlanti di lingue pidgin ad essere avvantaggiati in un primo stadio dell’acquisizione della lingua target, in quanto il transfer positivo dalla L1 condurrebbe a un sistema strutturale riconoscibile e familiare, potenzialmente efficace ai fini della comunicazione primaria (i.e. la varietà dell’apprendimento, l’interlingua).

Lavorare continuativamente in questo modo, cioè integrando, da parte dell’insegnante, spiegazioni formali e metalinguistiche sulla formazione della lingua a un input comprensibile da parte degli studenti, si potrebbero porre le basi di un rinnovato approccio alle interlingue degli apprendenti (cfr. Siegel, 2006). Tale maniera di condurre la didattica di una lingua seconda non deve essere presa come totalizzante, piuttosto si tratta di un’ipotesi per integrare gli approcci comunicativi ed interazionali esistenti. Così facendo, si ricreerebbero in classe le particolari condizioni positive per l’emergere di una varietà linguistica nata dal bisogno stesso di comunicare e co-costruita attraverso le interazioni in classe.

Ciò diventa particolarmente utile per quanto riguarda l’ordine delle parole. Abbiamo visto come una lingua pidgin tenda tipologicamente ad assumere la struttura SVO, risultante come la non marcata. Se è vero che un transfer, cioè un’interferenza tra la L1 e l’interlingua, può essere sfruttato costruttivamente da parte degli insegnanti, per prevenire errore sistematici – in particolare nelle prime fasi dell’acquisizione – o per permettere riflessioni comparative sulle strutture in essere, allora una particolare attenzione di stampo tipologico alla costruzione dell’interlingua può rivelarsi uno strumento utile a fini didattici.

Tale ragionamento non si ferma all’ordine delle parole, ma può essere applicato anche ai processi di rilessificazione, tipici di lingue pidgin e creole, e alla grammatica. Su questo tema, Mather (2006, p. 241) scrive che esistono parallelismi interessanti tra la rilessificazione nella genesi dei creoli e il transfer della L1 negli studi teorici sull’acquisizione di una L2, e continua dicendo:

A case in point is Schwartz & Sprouse (1996), who claim that the starting point in second- language acquisition is the L1 grammar, which means that the entire L1 grammar is carried over into the initial state of SLA. As learners are exposed to more input (and more corrective feedback in the case of instructed SLA), they begin to reshape their L2 interlanguage.

La grammatica L1 è dunque un punto di riferimento fondamentale per l’apprendente, attraverso la quale si possono rendere esplicite le strutture proprie della L2 e incoraggiare gli studenti a riflettere in maniera comparativa per capire a quale lingua corrispondano quali caratteristiche.

Nell’immagine seguente (2.1), possiamo vedere un’esemplificazione di questo approccio. Si tratta di una foto scattata alla lavagna durante una lezione di italiano L2 dedicata a richiedenti asilo, provenienti da paesi diversi e parlanti lingue diverse, e condotta da chi scrive. La classe di questa lezione era composta da studenti provenienti dalla Nigeria, dalla Côte d’Ivoire e dalla Guinea, parlanti L1, rispettivamente: yoruba, attié e susu.

Attié (nomi alternativi: Akye; Atie; Akie; Atche; Atshe; Attie; Atye), lingua ivoriana della famiglia niger-congo, secondo il catalogo Ethnologue (1993) conta circa 381.000 parlanti in Côte d’Ivoire. (Fonte: Ethnologue).

Susu (nomi alternativi: Susu-Yalunka; Susse; Soso; Sooso; Susoo; Soussou; Sose; sosso), lingua della famiglia niger- congo parlata in Guinea, Sierra Leone e Guinea-Bissau, conta circa un milione di parlanti in totale. (Fonte: Ethnologue).

L’argomento della lezione era la sintassi italiana e l’ordine SVO all’interno della costruzione della frase in italiano. Agli studenti è stato chiesto di tradurre nella propria L1 la frase “Anne studia l’italiano”, per vedere se l’ordine dei costituenti fosse coerente o dissimile con l’italiano e attivare una riflessione metalinguistica con focus sulla sintassi.

Attraverso un approccio co-costruito alla lingua, gli studenti hanno avuto la possibilità di riflettere sulla costruzione base della frase e sugli elementi di continuità o di differenza tra le produzioni in L1 e L2. Come si può osservare nell’immagine, solo lo yoruba – tra le lingue qui occorrenti – è caratterizzato da una struttura SVO, mentre un ordine SOV appare nelle frasi in attié e susu. Tale modalità di presentazione è stata accolta entusiasticamente da parte degli apprendenti, i quali hanno dimostrato interesse nell’osservare che l’esempio poteva essere trasportato anche su altre produzioni, creando la possibilità di estrapolare una regolarità per integrare e migliorare i propri tentativi nella lingua target.

In sostanza, l’utilizzo delle L1 degli apprendenti – in una prima fase di acquisizione – può dimostrarsi utile come pratica didattica per attivare meccanismi di noticing attivo e supportare o correggere le ipotesi degli studenti riguardo alla L2. Per un approfondimento di alcuni studi sul tema delle pratiche traduttive e dell’educazione alla diversità linguistico-culturale, si rinvia il lettore a D’Angelo (2013).

Noticing: è una attenzione cosciente a elementi linguistici, alla ricerca di regolarità o comunque di pattern simili.

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