2.1.1 L’interlingua e il pidgin, un parallelismo possibile

Corder (1967), Selinker (1972) e Nemser (1971), sono stati tra i primi studiosi a rilevare l’esistenza di quelli che sono stati chiamati “sistemi approssimativi”, oggi più comunemente conosciuti come interlingue (Selinker, 1972). L’interlingua è una particolare varietà linguistica dell’apprendimento, tipicamente riscontrabile in chi è in fase di acquisizione di una lingua seconda. Sfruttando quella che Selinker (1972) chiama “struttura psicologica latente”, ogni apprendente di una L2 è portato a fare dei tentativi, a sperimentare cioè la lingua in apprendimento; producendo enunciati nella L2 basati sulle proprie conoscenze pregresse e sulle strutture di sua conoscenza (i.e. la L1). Come molti insegnanti sanno bene, queste produzioni – in particolare nelle prime fasi dell’acquisizione – risultano semplificate, “sgrammaticate” (ma il termine è problematico ed è congruente solo in rapporto alla lingua target), fonologicamente e morfosintatticamente imprecise, se non addirittura “goffe”.

Il concetto di interlingua ha segnato un passo avanti fondamentale per la linguistica acquisizionale, permettendo di ripensare positivamente la nozione di “errore” – e conseguentemente di ciò che qui abbiamo chiamato “goffo” – poiché l’interlingua corrisponde a un sistema di regole grammaticali, lessicali e sintattiche coerente in se stesso, dove la lingua target e la L1 di provenienza dell’apprendente si incontrano e si crea la possibilità di un’acquisizione strutturata, sia essa guidata o naturale. È una sistema processuale, dinamico, che si costruisce insieme alle competenze dell’apprendente in una successione di stadi, all’interno dei quali e attraverso i quali l’interlingua si può manifestare in maniera sempre più articolata e precisa, sempre più prossima alla lingua target. In uno sviluppo del suo lavoro, Corder (1971) definisce la lingua dell’apprendente come un dialetto idiosincratico, riconoscendole una grammatica genuina, autentica.

Inizialmente, l’idea dell’accostamento delle dinamiche di acquisizione con quelle coinvolte nella pidginizzazione di una lingua di contatto si è fatta avanti soprattutto grazie agli studi di di Smith (1971) e Schumann (1978), i quali hanno cominciato a porre le basi di questo filone analitico, poi sviluppatosi, fino ad arrivare alla teorizzazione dell’ipotesi gradualista – cioè acquisizionale – nello studio della genesi di pidgin e creoli, scardinando gli approcci filogenetici (Mather, 2006), come si è accennato nel Cap.1.

Smith (1971) affermò che un’analisi della lingua può essere suddivisa in tre componenti funzionali: (i) la comunicazione, (ii) l’affermazione dell’identità sociale e (iii) l’espressione di esigenze psicologiche. In base alle esigenze dell’apprendente, e alle sue motivazioni, queste tre funzioni possono essere raggiunte dalle sue interlingue, secondo una dinamica che potremmo paragonare all’espansione dei domini d’uso di un pidgin. Nonostante quest’ultima considerazione, Schumann (1978) ritiene che i pidgin sono funzionalmente limitati a servire il primo punto, cioè la comunicazione.

Come risultato, secondo Schumann, la pidginizzazione produce un’interlingua semplice e ridotta. Quando le funzioni del linguaggio di un apprendente di una L2 sono limitate alla comunicazione (come possiamo riscontrare in una fase iniziale), possiamo aspettarci che la sua interlingua rifletta alcune delle semplificazioni e riduzioni trovate nei pidgin (Schumann, 1978).

Per delineare meglio lo sfondo degli studi alla base di queste argomentazioni, citeremo quanto riportato da Siegel (2009, p. 190) sul lavoro di altri due studiosi:

Ferguson and Debose (1977) also noted that there were “few studies of adult ‘natural’ acquisition” (p. 108), but they drew on the recent SLA research into the nature of learners’ grammars, i.e., transient internal representations of the structure of the target language called “approximative systems” (Nemser, 1971) or “interlanguage” (Selinker, 1972). Ferguson and Debose called learners’ actual productions of the target language – characterized by relative formal simplicity, a carryover of features of the first language, and great variability among learners – “broken language” (1977, pp. 108-9). They also broadened the definition of pidginization, describing it as “a process that accepts normal language as input and produces a reduced, hybridized, and unstable variety of the language as output”.

Definizione SLA: Second Language Acquisition, 'acquisizione di una lingua seconda'

Possiamo notare che il pidgin è qui considerato come un output instabile di una varietà considerata “normale” la quale è definita come input. Il parallelismo tra queste con le produzioni degli studenti (i.e. output) e la lingua L2 target utilizzata e presentata dall’insegnante (i.e. input) appare ragionevole alla luce degli studi dedicati alle interlingue nelle prime fasi di acquisizione.

Le principali caratteristiche formali che accomunano la pidginizzazione e l’acquisizione di una lingua seconda sono reperibili in una serie di articoli pubblicati da Schumann tra il 1974 e il 1976, e poi raccolte in un unico lavoro intitolato The Pidginization Process: A Model for Second Language Acquisition (Schumann, 1978). La base per il suo modello fu uno studio longitudinale dell’acquisizione dell’inglese come lingua seconda, in un contesto di apprendimento non guidato, da parte di un campione di sei parlanti di spagnolo. Facendo riferimento a Siegel (2009, p. 191), il quale illustra i risultati di questo studio, possiamo brevemente riassumere tali caratteristiche come segue:

  1. negativo formato da ‘no’ preposto al verbo;

  2. assenza di inversione nelle domande;

  3. assenza di ausiliari;

  4. possessivi non marcati;

  5. assenza della flessione verbale -ed per il passato.

Ricordiamo che lo studio di Schumann era volto ad esaminare l’acquisizione dell’inglese come lingua seconda, è perciò evidente che le caratteristiche rilevate sia da Schumann (1978) che da Siegel (2009) facciano riferimento alle strutture linguistiche dell’inglese.

Inevitabile notare subito che queste caratteristiche sono molto simili a quelle che definiscono strutturalmente un pidgin. Notiamo anche che in effetti il pidgin nigeriano, in particolare, pare già più evoluto di questo stadio descritto da Schumann (1978) e preso in esame da Siegel (2009). Ciononostante, è interessante sottolineare ancora una volta come, anche da un punto di vista formale delle strutture linguistiche coinvolte nei due fenomeni, il concetto di interlingua possa essere preso in considerazione per descrivere, eventualmente, un pidgin.

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