3.2.2 I dati e il progetto di ricerca

La lezione di italiano L2 che esamineremo in dettaglio nelle pagine seguenti è estrapolata da una piccola collezione composta di 6 lezioni della durata di circa 50 minuti ciascuna, audio-registrate non sistematicamente nell’arco di un anno (da febbraio 2017 a febbraio 2018). Sulla raccolta di questi dati e sulla genesi della ricerca è opportuno soffermarsi, per contestualizzare meglio il single case analysis che sarà poi illustrato.

Scegliamo, per questo paragrafo di ricorrere all’uso della prima persona singolare: una scelta deliberata, motivata dal fatto che si introducono qui le riflessioni di chi scrive – nella veste di ricercatore – sulla propria attività di insegnante.

L’audio-registrazione delle lezioni è stata originariamente realizzata non in vista di un’analisi sistematica, da svolgersi secondo linee metodologiche specifiche, e da porre al centro di un percorso di ricerca ai fini della mia tesi di laurea magistrale. Si trattava, invece, di un’esigenza professionale, del tutto spontanea: volevo mantenere traccia di alcune lezioni svolte, a scopo personale, per riascoltarle e trasformarle in un’occasione di riflessione retrospettiva sui modi in cui erano state gestite, sulle strategie didattiche e linguistiche adottate (efficaci e non), su vari aspetti che difficilmente potevano essere oggetto di particolare attenzione durante le attività in classe, ma che potevano diventare tale, in un secondo momento (se documentati, appunto), offrendo così elementi per sviluppare una certa consapevolezza sulla propria azione pedagogica. Che questo tipo di ‘pratica riflessiva’ nel lavoro dell’insegnante sia teorizzata e promossa da vari studi (cfr., ad es., Ciliberti et al. 2003) è stata un’acquisizione formale di conoscenza fatta a posteriori, nel mio percorso universitario specialistico, condotto in parallelo all’attività di insegnamento dell’italiano L2.

Nello stesso ambito di approfondimento disciplinare, e più specificamente, durante lo studio della classe plurilingue, ovvero del tipo di interazioni che vi hanno luogo e delle peculiari dinamiche sociolinguistiche che si manifestano nel loro svolgimento, si è creata l’occasione per un confronto riflessivo e fruttuoso sulle esemplificazioni empiriche illustrate nel contesto universitario e su quelle manifestazioni che, in qualità di insegnante, potevo esperire direttamente nelle mie classi composte da adulti di provenienze linguistiche e culturali eterogenee. Il mio interesse verteva soprattutto sui fenomeni di code-switching, di code-mixing o di language brokering, ad esempio – proposti nei materiali di studio per focalizzare ciò che è comunemente conosciuto come la ‘classe plurilingue’ – e sugli stessi fenomeni in cui ero quotidianamente coinvolto, con i miei apprendenti, in aula; sulle diverse lingue presenti nelle pratiche comunicative discusse nello studio universitario, e sulle lingue (native, nazionali, ufficiali, non-standard...) che erano attualizzate, in modo naturale e irriducibile, dagli/dalle apprendenti (principianti, soprattutto), nelle classi in cui insegnavo l’italiano L2.

Proprio riguardo alla varietà linguistica, era inevitabile che all’interno del contesto accademico, nel confronto motivato dal mio duplice status di teacher-student, emergesse anche il riferimento agli usi del pidgin, alle forme del Nigerian Pidgin English che nella frequentazione didattica, da qualche anno, avevo imparato ad ascoltare, a riconoscere, a comprendere nel loro significato, fino a usarle nelle interazioni con i miei allievi, in alcune routine comunicative (i saluti, ad es.), in alcuni frangenti pre-didattici o strettamente didattici (per chiarire la spiegazione di una struttura linguistica, ad es.), ecc. Le classi di italiano L2, nei contesti migratori in Italia, sono ambienti in cui anche noi insegnanti impariamo molto e, per me, ciò ha significato anche un ampliamento del mio repertorio linguistico, nei termini di Blommaert e Backus (2013) prima precisati (v. premessa al presente capitolo): un ampliamento derivato da un apprendimento incidentale, di certo conseguente a una specifica situazione educativa di contatto tra la lingua italiana e la (super)diversità linguistica (Blommaert e Backus, 2013) rappresentata, o meglio, incarnata in classe.

La possibilità e la scelta di andare oltre alcune considerazioni impressionistiche di tale diversità linguistica, sono scaturite dal dialogo con la docente, relatrice del presente elaborato. Tale confronto ha costituito, al contempo, la tappa conclusiva del mio percorso magistrale in Lingua e Cultura Italiana per Stranieri e un segmento di uno studio più ampio (condotto con la relatrice), oggetto di una presentazione congiunta nell’ambito di un successivo convegno internazionale.

Questo superamento di una lettura ‘ingenua’ dell’interazione in classe e la volontà di osservarla in maniera sistematica nelle sue (micro)manifestazioni interattive, assumendo, dunque, le audio-registrazioni, compiute per le ragioni di cui si è detto, come una piccola collezione di dati da esaminare con gli strumenti metodologici dell’Analisi della conversazione (v. più avanti), si sono, appunto, concretizzati, in una ricerca legata alla tesi di laurea.

Infine, un altro aspetto da menzionare – con il quale questa breve narrativa d’insegnante (cfr. Gill, Pryor 2006) e di autore di una ricerca può concludersi – riguarda l’obiettivo ultimo a cui mira sia lo studio descrittivo dell’interazione nella classe plurilingue di adulti immigrati, qui illustrata, sia l’ampliamento che esporremo in altra sede: considerarne le implicazioni per l’apprendimento e l’insegnamento della L2, ovvero per la formazione linguistica degli apprendenti di italiano L2 e per quella professionale degli insegnanti di italiano L2.

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